Wednesday, October 24, 2012

This must be the place


The waiting, is the hardest thing. L'attesa, cantava Tom Petty, è la cosa più difficile. L'attesa è il tema del bel film di Paolo Sorrentino anche se questa attesa è celata, fa capolino a tratti e solo nella scena finale si capisce che era il significato di tutto. Ma l'attesa è quello che rende la vita degna di essere vissuta, per quanto sia anche la cosa più difficile. Come ogni prodotto italiano - film, musica, libri - avevo accuratamente evitato di guardare questo film, anche se la presenza di uno dei massimi attori (ma soprattutto registi) viventi, Sean Penn, mi intrigava. Poi il fatto che si parlasse di una rock star. Vedere Sean Penn conciato da Robert Smith coatto però mi aveva stoppato, fino a quando la solita notte in solitaria mi ha messo davanti al film. E l'ho visto.

This Must Be the Place
è fatto benissimo innanzitutto perché è girato e prodotto come un film americano, da tutti i punti di vista, anche grazie al fantastico cast: oltre a Penn infatti ci sono i bravissimi Frances McDormand, Eve Hewson, Harry Dean Stanton.


Poi è pensato come un film americano, pieno di pause, silenzi, panoramiche di alto livello e non ultimo c'è anche una gran bella colonna sonora. Inevitabile pensare ai film del grande Wim Wenders da cui attinge a piene mani per l'ispirazione. C'è un sottile umorismo tipicamente americano anche quello, impossibile da trovare nei film italiani. E c'è un significato. "Qualcosa mi ha disturbato, non so bene cosa, ma qualcosa mi ha disturbato…", dice Cheyenne/Sean Penn, una rock star che da anni non fa più dischi e concerti, chiuso con la moglie nel suo castello prigione. Cosa lo ha disturbato è il suicidio di alcuni suoi fan che avevano preso troppo sul serio i testi depressivi e nichilisti delle sue canzoni: non basta a Cheyenne recarsi ogni settimana sula loro tomba a portare fiori, con i genitori dei ragazzi che cercano di cacciarlo, per togliersi il senso di responsabilità per la loro morte. Cheyenne passa e ore a fissare il nulla se non fosse per una moglie affettuosa che di giorno fa il pompiere (a sua insaputa) e di una ragazzina fan (che peraltro è la figlia di Bono degli U2) che gli tiene compagnia senza chiedere nulla in cambio. Una ragazzina triste come lui che Cheyenne cerca inutilmente di far fidanzare, ma non ci riesce: "la tristezza è incompatibile con la tristezza" commenta.


"Non sto cercando me stesso. Sono in New Mexico, non in India…": un giorno Cheyenne parte alla volta dell'America per vedere il padre che sta morendo ("Mio padre sta morendo di vecchiaia... Una malattia che non esiste!"). Lui vive in Inghilterra, non lo vede da trent'anni e ha paura di volare, così prende una nave. Arriverà che il padre è già morto, ma sulla nave assisterà a un concerto di David Byrne. Illuminante il colloquio fra i due: "Io ero una pop star del cazzo! E scrivevo canzonette lugubri perché erano di moda e ci si facevano un sacco di soldi, con testi deprimenti per ragazzetti depressi; e due di loro, più deboli di tutti gli altri, ci sono rimasti sotto! Questo è il risultato! E adesso io vado al cimitero tutte le settimane per alleviare il senso di colpa, ma col cazzo che lo allevio: così peggiora solamente e allora mia moglie mi dice "ma perché non torni a suonare?" e io penso che è una stupida oppure penso che magari mi ama fin troppo e allora è stupida uguale perché come fa a non rendersi conto del disastro che si ritrova davanti?" dice Cheyenne.




In tutto questo ogni tanto si vede Cheyenne che va a trovare la madre. Vive sola, seduta su una poltrona rivolta alla finestra e fissa là fuori. Aspetta. Aspetta un altro figlio che è sparito da anni e non si più fatto risentire. Solo alla fine capiremo chi stava aspettando veramente. A Cheyenne che si lamenta di essersi fatto di tutto nella vita, la madre risponde: "Non hai mai incominciato a fumare perché sei rimasto un bambino. I bambini sono i soli che non provano mai il desiderio di fumare".


C'è poi il lungo viaggio in America in solitudine dopo la morte del padre e la scoperta di un segreto sul suo conto, con incontri decisivi che a poco a poco cambiano Cheyenne. Che alla fine del film torna dalla madre. Non ha più il look orribile alla Robert Smith, probabilmente adesso non è più una rock star per davvero, mentre prima continuava a esserlo anche se non faceva dischi o concerti. La madre lo vede arrivare dalla finestra dal fondo della strada. Lui, da sotto, le sorride. Anche lei sorride. L'attesa, che è la parte più difficile, è finita. "Il problema è che passiamo troppo velocemente dall'età in cui diciamo "farò così" a quella in cui diremo "è andata così". Ma con una constatazione: "Un padre non può fare a meno di amare suo figlio". Che è lo stesso per una madre. E questo, deve essere il posto, this must be the place.

9 comments:

DiamondDog said...

Perdiana Paolo, me ne avevano detto peste e corna ma raccontato così viene proprio voglia di andarlo a vedere....
:-)

Anonymous said...

anche a me ne hanno parlato (quasi) tutti male.
maurizio
ps
cristo quelle parole di verifica!!!

Cannibal Kid said...

bellissimo!
il mio film italiano preferito degli ultimi anni, sarà perché è così poco (diciamo pure nulla) italiano :)

Anonymous said...

Concordo con te su ogni punto eccetto sulla parte antiitaliana. Intendiamoci, lungi da me dormire con il tricolore come copriletto o cose del genere, non apprezzo nemmeno la stragrande maggioranza dei film italiani (salvo Ozpetek e pochi altri) ma la demolizione totale della nostra cultura per prediligere quella americana (di cui peraltro in questo film si attinge, ma nella sua parte migliore, e moooolto edulcorata) mi sembra un atteggiamento un po' semplicistico. In somma, leggo questo blog con piacere, l'Italia mi fa piangere da mille punti di vista, ma vantiamo un Cultura degna di questo nome, quindi ci tenevo a dirtelo! Voglio dire, siamo nati prima linguisticamente che politicamente, con Dante, con Petrarca e Boccaccio, e abbiamo creato meravigliose opere d'arte nel corso dei secoli fino ai giorni nostri, quindi non sminuiamoci. Almeno non in questo!

Paolo Vites said...

facevo riferimento, come smepre faccio, solo a forme d'arte moderne e/o contemporanee, come appunto la musica, il cinema, la letteratura di questi ultimi decenni. non metterei mai sullo stesso piano un Leopardi o un Mark Twain ad esempio, Mark Twain che amo molto. Tantomeno Dante. Invece non metterò mai sullo stesso piano i i film dei Vanzina con quelli di Sean Penn

Anonymous said...

Certo, questo l'avevo capito, ma sai, ci si fa prendere dallo scoramento ogni tanto. E si sente il bisogno di difendere l'indifendibile. Però mi ripeto, ci sono fenomeni culturali italiani anche recenti che non vanno sottovalutati. Vero che c'è un generale appiattimento, ma fa piacere trovarli di tanto in tanto. La cultura italiana del 900 comunque è fenomenale, per quanto riguarda i duemila non saprei, ai posteri l'ardua sentenza direbbe Manzoni... Ma resta il fatto che in un paese così si sta davvero male, specie se hai diciassette anni e ti senti dire dalla Fornero tante belle parole, sempre confortanti. Forse è meglio andarsene. Con dolore.

Paolo Vites said...

hai 17 anni? appena ne hai 18 scappa il più lontano possibie dall'italia

Anonymous said...

Ciao Paolo,

rileggevo questo tuo post sul film in questione. L'ho visto ieri, ma probabilmente mi è sfuggito qualcosa. Quella che tu dici essere la madre di Sean Penn, io credevo che fosse la madre della ragazza. Non è cosi? Oramai non ti ricorderai piu, ma a me sembra sia cosi. Ciao!
Carlo

Paolo Vites said...

sì hai ragione, ho scritto qs post immediatamente dopo aver visto il film la prima volta e ho messo alcune inesattezze. l'ho rivisto diverse altre volte mi piace sempre di più, però è anche vero che la madre della ragazza alla fine diventa un po' sua madre in un abbraccio universale. anche lui cheyenne aveva bisogno di una madre

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