La prima sigla sta per Milano Jazzin’ Festival, la seconda indovinatela voi, tanto non è difficile specie se leggerete le righe successive. Insomma, Milano capitale morale, Milano Expo blah blah. C’ha un solo vero appuntamento musicale ufficiale, questo qua (a parte festival di contorno in luoghi idilliaci come l’Idroscalo, ma ve li lascio volentieri) quando in ogni angolo d’Italia in estate si danno appuntamento i meglio nomi della scena musicale mondiale, per dirne uno ad esempio Lucca che ha portato in questi giorni Leonard Cohen, mica ciccio pelliccio.Bene, questo festival lo fanno all’Arena Civica, bel posto, in centro. L’anno scorso ci avevo visto Patti Smith ed era andata bene, più o meno, quest’anno ci torno per Paul Simon. Visti i tempi di crisi, mi rifilano un biglietto stampa per la tribuna, non per la platea. E vabbé, entri gratis, ti lamenti pure? No, lo dico per le altre centinaia di persone che erano in tribuna, paganti. Che vuol dire sedili di marmo di epoca napoleonica alle nove di sera ancora roventi per il sole della giornata appena trascorsa; un enorme stand di birra e panini piazzato proprio davanti che copre la visuale sul palco. E ciliegina, un impianto audio che sembra, nonostante il palco sia a circa 100 metri di distanza e non sulla luna, di sentire una radiolina a transistor degli anni 30. A basso volume. Una porcata indecente. Ovviamente manco un mega schermo ai fianchi per permetterci di capire da quassù quale è Paul Simon visto che poi lui non è certo uno spilungone, che probabilmente i mega schermo costavano troppo. Mi incazzo, solo io però che il pubblico (pagante) sembra godersi lo spettacolo lo stesso. Boh, la gente è strana.
Dopo un’ora visto anche che la platea è mezza vuota aprono la gabbia e ci lasciano andare giù anche a noi peones. Che voglio dire: grazie tante, ma le norme di sicurezza? Comunque lì sotto si sente bene. Vuol dire che l’impianto è settato solo per far ascoltare la musica a quelli della platea. Ma vaff... Probabilmente troppo rumore avrebbe dato fastidio alle varie sciure Brambilla che c’hanno l’attico qui in centro. Milano Expo? Ma va’.
Dimenticavo: è il più strombazzato festival dell’estate milanese e nessuno avverte che prima di Simon suona un certo Robben Ford, cioè uno dei più grandi chitarristi viventi, mica il fratello di ciccio pelliccio. Me lo perdo ovviamente e grazie tante.
Quel poco che sono riuscito a sentire, comunque sempre un grande Paul Simon, con una band strepitosa, la stessa che aveva anche quando venne nel 2000, che quando attaccano brani come Me and Julio down by the Schoolyard, Diamonds in the soles of her shoes o la travolgente cavalcata cajun That was your mother, è festa irresistibile a ritmo di batteria, percussioni, fiati, fisarmoniche, basso slappato, chitarre danzanti… Personalmente mi commuovo quando Paul rimane da solo sul palco per eseguire The sound of silence, è un po’ come vedere McCartney quando fa Yesterday o Bob Dylan Mr tambourine Man. Ah è vero, Dylan da solo sul palco con una chitarra acustica c’è stato per l’ultima volta nel 1993. Insomma, questo è uno che ha fatto la storia, e a 66 anni sul palco dà ancora emozioni, ad esempio quando tira fuori una rarissima The only living boy in New York, che 38 anni fa scrisse per l’amico Grafunkel e che evoca anche stasera il suo spirito, e anche i sogni di quei tempi antichi.Ultima baggianata, a fine concerto lo speaker annuncia che sganciando qualche altro soldino è possibile partecipare all’after show party e incontrare “i musicisti”. Bah, mi avvio verso casa costeggiando l’Arena e vedo fermo in mezzo alla strada il chitarrista di Simon. Quindi una Mercedes con i fari e il motore acceso. Vuoi vedere che… sì eccolo che arriva. “Hey Paul!” lo chiamiamo. Lui si ferma, saluta con la sua manina che sembra quella di mia figlia di 5 anni, sorride, sale in macchina Fa fermare la macchina e sta qualche secondo a salutarci dal finestrino. E i pirla che hanno speso dei soldi per l’after show party pensando di incontrare “i musicisti”? MVFC.




















