Monday, July 28, 2008

Un libro (o due) per l'estate

“…Tossici e crackomani, non c’è niente di più lontano dal suicidio. Non capirebbero neanche di cosa stai parlando. Si svegliano tutte le mattine nel dolore. Un dolore atroce. Ma non se ne vanno al deposito della metro. Adesso mi dirai, grazie tante, loro ce l’hanno qualcosa che gli fa passare il dolore. Devono solo sbattersi un po’ in giro e procurarselo. E non ti posso dare torto. Ma la domanda rimane. Che cos’è esattamente questo dolore che porta i pendolari a infilarsi un bel cappotto di legno? Di che tipo di dolore stiamo parlando? Secondo me, se fosse il dolore per una perdita a portare la gente al suicidio anche solo seppellirli tutti quanti prima che scenda il sole sarebbe un lavoro a tempo pieno. E allora torno sempre alla stessa domanda. Se non è quello che uno ha perso a dare questa sofferenza insopportabile, allora forse è quello che uno non perderà mai”.
(Cormac McCarthy, da Sunset Limited)

Cormac McCarthy è troppo in là. Ho paura che lo capiscano in pochi. In una società moderna come la nostra che ha anestetizzato la domanda (e il dolore) che c’è nel cuore dell’uomo a dosi massicce di idiozie televisive rendendoci una sorta di zombie che si sentono felici con un i-Phone o qualche altro aggeggio del genere, come potrà mai uno trovare sensato un libro che è un lungo dialogo tra una persona che ha appena tentato il suicidio (il Bianco) e un altro che lo ha salvato dalla metropolitana in corsa, per puro caso e all’ultimo istante (il Nero).

È quello che racconta Sunset Limited, l’ultimo (breve) racconto dello scrittore americano (grazie Anna). Confesso che mi sto avvicinando a McCarthy da ultimo arrivato, incuriosito dalle lodi di tanti amici – tra cui Francesco De Gregori – che lo annoverano tra i loro scrittori preferiti. Non ho visto il film tratto dal suo Non è un paese per vecchi. Ho solo letto nelle ultime settimane La strada e appunto Sunset Limited. Oddio, non è uno scrittore per stomaci delicati e non sono libri, i suoi, da leggere sotto l’ombrellone. Almeno questi due. Mentre leggevo La strada ho avuto gli incubi per una settimana, ma d’altro canto io sono un grande appassionato di Stephen King, e ho trovato in McCarthy alcune delle sue visioni apocalittiche di certi racconti.

In quel poco che ho letto fin’ora di McCarthy c’è uno stile asciutto, stringato, diretto, quasi fossero scenografie per un film, che onestamente non mi fa impazzire. Ma in Cormac c’è una posizione umana che affascina. Sia in La strada che in Sunset Limited i suoi protagonisti sono sempre di fronte a un bivio, chiamati a scegliere fra il bene e il male, tra la speranza e la disperazione. Quello che li tiene al di là del baratro è la coscienza di appartenere a qualcosa di più grande della loro miseria, e per cui vale la pena spendere vite altrimenti maledette dalle circostanze. A darsi fino all’ultimo respiro, ad esempio come fa il padre de il bambino di La strada. Se la bellezza nel mondo intorno è andata in frantumi, ciò che ci rende degni di vivere è il suo ricordo. Così come fa il Nero di Sunset Limited: non c’è condizione disperata che non possa avere riscatto. Basta avere l’umiltà di chiederlo, il riscatto.
Mi domando in quanti apprezzino davvero Cormac McCarthy, oggigiorno. Mi domando anche quale autore rock sarebbe ideale affiancare alla sua lettura. Leonard Cohen, probabilmente. Nick Cave, forse. Ma più di tutti probabilmente Johnny Cash.

5 comments:

Anonymous said...

per la tagliente nostalgia che fa insorgere mi sentirei di affiancarci anche aluni brani di priviero e anche questa poesia

I gaze into the doorway of temptation's angry flame
And every time I pass that way I always hear my name.
Then onward in my journey I come to understand
That every hair is numbered like every grain of sand.

I have gone from rags to riches in the sorrow of the night
In the violence of a summer's dream, in the chill of a wintry light,
In the bitter dance of loneliness fading into space,
In the broken mirror of innocence on each forgotten face.

I hear the ancient footsteps like the motion of the sea
Sometimes I turn, there's someone there, other times it's only me.
I am hanging in the balance of the reality of man
Like every sparrow falling, like every grain of sand.

Davide8 said...

Io non so dire cose acute da tempo. E nemmeno McCarthy è necessariamente acuto. La co-mozione che provoca ha però un qualcosa di potentemente ancestrale, che sfiora l'universale. E le domande che si affollano nel breve frammento che hai riportato non necessitano risposta, così come la realtà non necessita, sempre di comprensione.
Un abbraccione Paolo, sono contento di averti conosciuto!
d

Anonymous said...

mi eri mancato. grazie, come sempre mi fai sentire in sintonia con un umano.
a presto

mctell@libero.it

Unknown said...

Io mi riprometto da mesi di leggerlo!Lo farò di sicuro appena avrò finito 'Sardinia blues' di Soriga! Anche questo è un gran bel libro...voi lo avete letto?

Paolo Vites said...

no, mai sentito... grazie del consiglio!

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