Tuesday, November 25, 2008

Thanksgiving, 1976

Alcuni di loro sono morti. Altri si sono ritirati dalle scene. Nessuno, comunque, è stato più in grado di superare quello che, musicalmente, questi uomini e donne avevano fatto fino a quel giorno. Che era il 25 novembre 1976, quando uno dopo l’altro sfilarono sul palco del Winterland di San Francisco i più brillanti esponenti di una generazione che con le loro canzoni avevano cantato utopie, speranze, disillusioni di un momento storico unico di quel secolo, il 900. Stavano dicendo addio, ma non lo sapevano. Ma suonarono come se fosse stata l'ultima notte della loro vita, meglio di ogni altra volta.

Fu la sera dell’ultimo valzer, quando Van Morrison scalciando come un indemoniato terrorizzò quanti lo stavano guardando. Quando Eric Clapton tornò a suonare la chitarra solista da dio, come non faceva da anni. Sembrava non volersi fermare più. Quando Neil Young si presentò sul palco con il naso impolverato di cocaina (che il regista abilmente fece scomparire, su sua richiesta, dalle immagini del film). Quando Bob Dylan con i suoi vecchi amici con cui aveva sconvolto il mondo esattamente dieci anni prima, tornò a suonare “fucking loud”, facendo riecheggiare la voce di Walt Whitman su un palcoscenico rock. E quando Ronnie Hawkins lanciò ancora una volta quell’urlo, quello del rock’n’roll. Joni Mitchell seduceva e incantava, mentre, pacioso e con lo sguardo di chi sapeva già come sarebbe andata a finire, Muddy Waters benediceva tutti e The Band mandava in scena l’ultima esibizione di un’America che era già scomparsa con i morti della Guerra di secessione.

Fu l’ultimo valzer del rock, e il regista di Taxi Driver lo coglieva con capacità a tutt’oggi insuperabile: non si vedono mai gli spettatori, nel suo film. Questa è una celebrazione di quegli uomini sul palco.
“Ecco cosa è L’ultimo valzer” dice nel film Robbie Robertson. “Sedici anni on the road. Un numero che ti fa paura. Non potrei vivere per vent’anni sulla strada. Non penso di poter neanche discutere una cosa del genere”. Avrebbe tenuto fede a quelle parole. Non sarebbe più tornato on the road.

10 comments:

Maurizio Pratelli said...

Sto maledetto 1976, anche qui non c'ero.....

ciocco72 said...

eh Paolo qui sei andato via 'facile'... eh eh eh

Paolo Vites said...

si è scritta da sola.....

antonio lillo said...

ah, those were the days...

come disse qualcuno...

davvero signor vites, nessuno sa scrivere questi pezzi sul rimpianto dei giorni del vero grande rock come te...

stefano pavarini said...

mi ricordo una trasmissione a radio supermilano in cui il dj (credo piergallini) disse : il funerale del rock.ciao poldo

Riro said...

Beh ...un mezzo funerale e' ...anche cinematograficamente, cosi lugubre ...pero' come una volta a New Orleans, la musica da funerale puo' essere grandiosa

Fausto Leali said...

Qualche tempo fa abbiamo fatto una cena di classe, con i superstiti del liceo.
Una di noi, ad un certo punto, tira fuori un regalo per tutti: una storiella scritta da lei (carina) con sopra la classica foto di classe tipo squadra di calcio, tutti con faccia da sconvolti (i maschi, perché alcune ragazze erano niente male invece...) e poi un cd per tutti: una copia per ciascuno de "l'ultimo valzer" ("quella che ascoltavamo noi sì che era musica, mica quella che ascoltano adesso i giovani"...).

a distanza di 30 anni non mi sono ancora stufato di ascoltare e guardare questo concerto..

silvano said...

Sig. Vites, mi compiaccio dei suoi gusti! ;))
Grande disco, l'ho acoltato recentemente, sempre con gran gusto, il film inceve l'ho visto una sola volta tanti anni fa e non mi ricordo molto. Bisogna rimediare.
ciao e grazie, silvano.

Anonymous said...

una pietra MILIARE, punto
e silenzio tutto attorno: alzare il volume dello stereo, please...

Luca Skywalker nostalgico

Anonymous said...

the last waltz,
il grande freddo,
pastorale americana

dovessi scegliere,
sarebbero questi.


l_c

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