Music is my savior, I was maimed by rock and roll, I was tamed by rock and roll, I got my name from rock and roll(Jeff Tweeedy)
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Che fa quell’ometto grassottello, la faccia un po’ da nerd, tutto vestito con un completino di Nudie (lo stilista che vestiva di abiti sgargianti le star della country music, e pure Gram Parsons)? Canta, è ovvio, e suona, visto che è su di un palcoscenico. Non si vergogna con quel look che non centra un tubo con la musica che fa e con il suo aspetto fisico? E no, non si vergogna, non può. Lui è la musica. Autentica american cosmic music. Lui è Jeff Tweedy e quelli sul palco sono i cazzutissimi Wilco. E il completino ci sta, ci sta. È il segno di quello a cui lui appartiene. La tradizione.
La prima volta che li ho visti in concerto, non ricordo manco che anno era, forse dopo l’uscita di Summerteeth, il loro disco che mi piace di meno, o forse dopo l’uscita del primo Mermaid Avenue. Milano, Magazzini Generali, quattro gatti, ma di buon gusto. Da Roma era arrivato anche Ermanno Labianca. Era ancora la prima line up, quella con Jay Bennett. Il concerto fu buono, ma non esaltante più di tanto. Ancora troppo ortodossi, ancora frenati. Colpa della band, credo, e di Bennett. Credo. Commovente però quella California Stars in conclusione.
Credo fu quando uscì lo strabiliante Yankee Hotel Foxtrot, nel 2002, che feci la mia prima intervista con Jeff. Anzi, fu proprio quella volta. Telefonica. Lunga, appassionata. Era il suo periodo delle “pillole”, ma lui era lucido. Alla grande. Vorrei aver conservato il nastro. Quella volta, come poi sempre con i Wilco, non riuscii a farli mettere in copertina di Jam. Eh no, a noi piacciono i morti eccellenti. Gli anniversari. Si va sul sicuro qua. I Wilco, no.
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A fine giugno, location impossibile (un oratorio!), 2004 – è appena uscito A ghost is born – veniamo caricati su un pullmino della casa discografica, partenza da Milano e destinazione boh. Da qualche parte in provincia di Brescia. Con me un caro amico, oltre a due altri giornalisti, che i Wilco in Italia non si apprezzano. Diciamo non se li caga nessuno, della stampa che conta. Probabilmente perché quella sera a San Siro stanno suonando gli U2, o quello là, quello del New Jersey. Il mio caro amico dovrebbe fare le foto, l'ho invitato apposta, è venuto da Chiavari per i cazzo di Wilco. Se lo conoscete, capirete. Non ha portato il rullino. Oppure la macchina aveva le pile scariche.
Il concerto è da urlo. Adesso c’è “quella” line up, tra tutti il miglior chitarrista al mondo, Nels Cline, e quel mostro di batterista, Glenn Kotche. E quell’incredibile folletto che sul palco è il catalogo di tutte le mosse più fighe della storia del rock, Mikael Jorgensen.
Nel backstage, dopo il concerto, incontro brevemente Tweedy, adesso “uomo senza più pillole”, ma tante, tante sigarette. Gli dico che dovrebbero fare un disco dal vivo, visto quanto sono bravi.Mi guarda un po’ come si guarda un coglione: “Be’, ma anche in studio non siamo poi così male”.
Ovvio. C’ha ragione.
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Primi di settembre, Milano. Palatrussardi o quel cazzo che si chiama adesso, che gli cambiano nome ogni due per tre. Pomeriggio cool, festa dell’Unità. Con la bella fotografa, la Stefania (lei è fotografa professionista, tanto per andare sul sicuro, questa volta), andiamo per incontrare Jeff Tweedy, si parlerà finalmente di un disco dal vivo, l’eccellente Kicking the Television uscito ormai da quasi un anno. Ci gustiamo il soundcheck, poi si chiacchiera un po’. Amo quest’uomo, lo amo davvero. Ha anche smesso di fumare adesso. Ma è come parlare con te stesso. Cioè, con il te stesso che tu vorresti essere.
La sera, Palatrussardi mezzo vuoto anche se l’ingresso è gratuito – perché i Wilco, in Italia, non se li caga quasi nessuno – “il” concerto. Definitivo. Attaccato alla transenna sotto il rutilante Jorgensen piango calde lacrime di bellezza. Vedo la storia del rock sfilarmi davanti ed è tutta qua, nelle mani di quel piccolo grande uomo e del suo gruppo, la più grande rock’n’roll band al mondo. Non ci piove, su questo. Che notte, cazzo che notte.
Il piccolo uomo faccia un po’ da nerd vestito sgargiatamente con il completino da George Jones, il re dell’honky tonk music, canta una lenta ballata folk. Dietro di lui a intervalli la band esplode in cacofonie esagerate, totalmente fuori contesto. Il piccolo uomo continua a cantare come se niente fosse. Poi la band ogni volta rientra educatamente in quella nenia leggera, poi esplodono ancora, una, due, tre volte. Ecco. American comsic music. Loro la possono fare perché hanno lasciato che sia la musica a guidarli, in territori sconosciuti. Mica come fanno tutti gli altri. È la musica che suona attraverso i musicisti, non sono dei musicisti che fanno della musica.Una fredda sera di inverno, credo un anno dopo, raggiungo Jeff Tweedy al telefono. Dobbiamo parlare del suo dvd solista, in cui sono raccontate le magiche serate che ogni tanto fa da solo, da vero folk singer del terzo millennio. Mi svelerà il suo segreto, quella sera: “Essere stato parte di un pubblico rock per la gran parte della mia vita adulta, e suonare sul palco al servizio (dice proprio “al servizio”) di un pubblico rock, ho fatto questa esperienza ogni sera. Che esiste qualcosa che è più grande di me stesso, qualcosa di più grande di un gruppo di persone che in quel momento si trovano in quella stanza e c’è la possibilità di perdere te stesso in quella identità, che è un posto in cui ti sentirai al sicuro. Un concerto rock è il solo posto che conosca dove puoi avere questa esperienza di intimità con un largo numero di persone”.
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Ho smesso di intervistare Jeff Tweedy. Ho smesso di andare ai concerti dei Wilco. Che intanto in Italia non se li caga nessuno e anche questa estate suoneranno in mezza Europa tranne che qui. Lui, e la sua band, sono per me qualcosa di più grande che soltanto un'altra rock’n’roll band. Sono la porta aperta al mistero. E adesso ho un po’ paura a infilarmici ancora una volta, in quella porta. Ma va bene così. Sono loro a venirmi a cercare, ogni volta. C’è il loro dvd dal vivo, finalmente, e un nuovo disco tutto per me: even when life gets you down, Wilco will love you, baby.
Ecco.
(Foto di Stefania Malapelle)