Friday, February 15, 2013

La ricetta (il corpo)

“If you get hungry enough, they say, you start eating your own heart.”
— Margaret Atwood


Lui si faceva la sua ricetta preferita, anche l'unica che conosceva, ma era tutta farina del suo sacco. Altro che master chef. L'aveva ideata durante i suoi anni da single non si ricordava più come mai gli era venuta in mente. Pentolino; mezzo dado (Knorr); un pezzo di burro; cipolla e soffriggere. Quindi versare un intero barattolo di lenticchie o fagiolini cannellini a scelta e dopo aver rimescolato per un po', una scatola di tonno. Probabilmente era il contrasto tra burro e olio la formula vincente. Ma anche il dado e la lenticchia o il fagiolo e la cipolla facevano il loro figurone. Ricetta perfetta, meglio di aragoste e ostriche. Con quel piatto avrebbe potuto nutrirsi tutta la vita, l'unico problema è il relativo gonfiore di pancia che ne risulta.

Mentre mescolava, continuava a pensare a una frase: quando si muore, tutta la vita ci passa davanti in pochi secondi. Cazzata, pensava. Non che lo potesse sapere ovviamente: non era morto mai, sino ad oggi. Ma da quando aveva raggiunto una certa età continuava a rivedere di continuo la sua vita. Un film continuo, fatto di immagini senza sosta: questo, quello e quell'altro ancora. Stancante e nauseante a dire il vero, rivedere sempre le stesse cose, in ogni particolare e poi non è che fosse stata questo splendore di vita, la sua. Forse stava morendo? Una morte dilatata per giorni e giorni e settimane e mesi? Bah. Spense il fuoco, tirò fuori una bottiglia di rosso e si preparò a berla tutta con il suo piatto preferito fumante.



Un'altra cosa che gli capitava spesso di recente dopo anni che non gli era più successa e che da ragazzino invece gli succedeva spesso, era quella sensazione orribile di sentirsi dentro il proprio corpo e volerne uscire fuori. Del tipo: io guardo attraverso i miei occhi ma se non mi metto davanti a uno specchio la mia faccia non la vedo mai. Un fastidio insopportabile: da piccolo questa cosa gli procurava crisi di nervi e la voglia di strapparsi gli occhi dalle orbite. Cazzo, un corpo che viaggia per conto suo, una faccia - da pirla - che tutti possono vedere in qualunque istante ma che a me è negato vedere. Chi c'è dentro il mio corpo? Un altro? Voglio vedermi mentre vivo, non sopporto di essere chiuso dentro questo corpo. Non è umano. Sono intrappolato dentro un corpo, ma io non sono questo corpo. Qualcuno vive dentro di me e viene guardato. Insopportabile sensazione.

Quella sera la sua ricetta era particolarmente gustosa, o forse era il vino che era particolarmente buono. Però il vino quasi non riusciva più a berlo: quanto vino si può bere in una vita? Era come un veleno che scendeva fastidioso. Ma di quanti veleni era pieno ormai il suo corpo? Tutti quelli che in una vita un corpo può accumulare. Pensava che avrebbe potuto rimanere in casa per il resto dei suoi giorni, fino a quando aveva a disposizione dado, cipolla, burro, tonno e lenticchie. Tanto che altro c'è da fare ancora in questa vita oltre ad accumulare veleni nel corpo? Arrivi a un momento che hai fatto e visto tutto quello che devi fare e vedere in una vita. Inutile raccontarsi balle e aspettare ancora qualcosa che di fatto nella sua vita non era arrivato mai. Come non arriva nella vita di nessuno peraltro. Lavori per vivere e vivi per lavorare. Una schiavitù di cui ne aveva abbastanza. Ingoi tutti i giorni le menzogne del prossimo che nessuno ha intenzione di dare via un briciolo di sincerità e verità. Anzi, te la spacciano come tale ma ti stanno imbrogliando di sana pianta. Peccato non essersene accorto prima, ma se anche così fosse stato cosa avrebbe potuto farci? Nulla, solo soffrirne di più. Il peggio pensava erano state le menzogne vendute a fin di bene. Quante. Ognuno si giustificava così. Il fine giustifica i mezzi.

Accese per qualche minuto il televisore. Lo spense quasi subito. Prese piatti e pentolino e bicchiere e li lavò velocemente nel lavandino. Poi spense le luci della cucina e della piccola sala e andò in camera. Buttato sul letto, viveva i momenti migliori della sua giornata, il sonno che era morte e la morte nel sonno, con l'aiuto di una pillola naturalmente. Dall'appartamento di sopra arrivavano i soliti rumori.

1 comment:

mario said...

Poi si decise a scrivere e diede un senso al suo dolore, capí che si vive di attimi irriflessi, di epifanie improvvise, di stupori e stridori, di gioie impulsive, di frasi e di stasi.
E che sí ha ragione chi dice che, si puó "migliorare con l'etá".

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