Friday, February 29, 2008

Non chiamatelo (B)Ryan

Le ristampe (dei dischi) sono la mia salvezza professionale. Se dovessi occuparmi solo di quelle che sono le novità – artisti emergenti, esordienti vari e compagnia bella, per intenderci – mi sarei già attaccato alla canna del gas. Preferirei dire “cercarmi un altro lavoro” ma con i tempi che corrono e con la mia età, il posto di lavoro che uno ha avuto la fortuna di trovare bisogna tenerselo stretto. Non che abbia intenzione di attaccami alla canna del gas per una roba come i dischi.

E a proposito di età, credo sia la prima volta che mi capiti di recensire la ristampa di un disco che avevo recensito nella sua uscita originaria. Voglio dire: di solito il reparto “vintage”, come lo chiamiamo noi di Jam, si occupa delle ristampe di album degli anni 60, 70, magari anche 80. È ovvio, sono spesso dischi ormai “fuori corso” oppure così importanti che è giusto che escano di nuovo, meglio se in edizione deluxe con brani inediti, grafica arricchita etc. Ma un disco uscito dieci anni e qualche mese fa? Questo mi fa sentire ancora più vecchio da una parte, e percepire come anche il mercato discografico sia alla canna del gas, proprio come me. Insomma, si sta grattando il fondo del barile, visto che i dischi nuovi ormai non se li compra più nessuno.

Tutta questa menata per dire che sto ascoltando la ristampa del bellissimo Strangers Almanc, la band in cui militava un certo Ryan Adams. Ecco, lo sapevo: il correttore automatico del mio programma di scrittura si è permesso ancora una volta di mettere le zampe (cibernetiche) su quello che scrivo. Di solito mi fa cose tipo “Rollino Stones” oppure – non so perché – “Francesco De Gregari”, per non dire di “cocker” invece di “rocker” o “Latrina” invece di (uragano) Katrina. Adesso invece di Ryan Adams mi ha messo Bryan Adams.

Non è vero. È che parlando del simpatico Ryan, mi viene in mente come la gente ai concerti mi fermi per dirmi che non capisco un cazzo di musica (probabilmente è anche vero) perché puntualmente stronco i suoi dischi e lo prendo in giro, come quello spettatore che una volta a un suo concerto gli gridò “Canta Summer of 69!” (il famoso brano dell’innocuo rocker canadese). Lui, Ryan, si offese talmente tanto che minacciò fisicamente lo spettatore in questione.
Freedom of speech, anyone? Quella sarebbe la prima cosa. Ma poi non è neanche vero che stronco per principio Adams: Heartbreaker lo considero un capolavoro assoluto; di Gold parlai abbastanza bene; di Love is Hell benissimo e Rock’n’roll abbastanza. Poi, in tempi non sospetti, parlavo arci-che-benissimo dei suoi Whiskeytown, senz’altro il miglior gruppo di area alternative country dei 90. Il problema è che la musica, in Italia, la si vive proprio come il calcio: guai a parlare male della squadra avversaria, anche quando la sua debolezza tecnica è palese. Se qualcuno ha deciso che R.A. è il futuro del rock’n’roll, bisognerebbe accodarsi come tanti coglioni a questa (superficiale) analisi. Dischi come Cold Roses, Jacksonville City Nights o Easy Tiger, per dirla alla Fracchia, sono delle “boiate pazzesche”, copia e incolla di classici del rock buttati lì come dire “ehi, sono il figo più figo della scena rock, so anche suonare la chitarra come Jerry Garcia”. Ma và.

Che Adams, da quando è andato solista, a parte quelli che ho citato prima,ha riempito il mercato di dischi superflui, appena sufficienti, spesso banali e noiosi. Soffre di dissenteria produttiva. Un narcisista in cerca di attenzioni (non meritate). Uno un giorno mi ha detto che scrivo male di lui perché mi da fastidio il suo modo di fare, al di là della musica. Che stronzata. Ma se mi piace Bob Dylan, che è probabilmente l’artista più antipatico della storia del rock, come potrebbe darmi fastidio l’antipatia (?) di (B)Ryan? Solamente, c’è in giro gente migliore di lui: per rimanere nei suoi paraggi, quello che è oggi il suo chitarrista, Neal Casal, è un talento cento volte maggiore del suo, come autore e come performer; lo stesso dicasi per Jesse Malin, da lui prodotto in passato. Però loro non usano la tattica-Ryan Adams (che è la stessa di Britney Spears, cioè attirare l’attenzione dei media con trovate che non centrano nulla con la musica). Famoso è l'episodio di qualche anno fa, quando un giornalista americano mise su internet la registrazione del messaggio che trovò un giorno sulla sua segreteria telefonica: avendo scritto una recensione negativa di un suo disco, si trovò la segreteria telefonica con un bel messaggio di Ryan. Pieno di insulti e minacce. Wow. Non pensiate non succeda anche dalle nsotre parti. Adams ha un collega italiano talmente coglione e presuntuoso - un po' come lui - che un giorno, dopo che una nostra giornalista aveva scritto che il suo nuovo disco non era proprio un capolavoro, le telefonò a casa per minacciarla e insultarla. Thats rock'n'roll, baby...

Comunque, dieci anni e qualche mese dopo, Strangers Almanac è ancora un bellissimo disco. Pieno di grandi canzoni (Excuse Me While I Break My Own Heart Tonight è una di queste). E poi c’è il dischetto in più della deluxe edition, con la bellezza di 18 brani inediti, tra performance radiofoniche, demo della pre-produzione del disco stesso (conosciute dai fan come le Barn’s On Fire sessions) più alcuni pezzi rimasti del tutto inediti. Ma soprattutto alcune cover, che la dicono tutta del genio interpretativo di questo ragazzo. Una è Dreams, il classico dei Fleetwood Mac, che dimostra anche come Adams non abbia mai avuto la puzza sotto al naso, avendo il coraggio spesso di pescare nel repertorio di gruppi e artisti che i puri e duri del rock’n’roll considerano invece robetta commerciale (il lavoro che ha fatto come produttore con gli America per dirne un’altra è stato eccezionale, oppure lo sdoganamento di Elton John, convincendolo a tornare a fare le cose che Elton sa fare meglio, cioè scrivere grandi canzoni e non cazzate commerciali): lui sa riconoscere quando una canzone è una buona canzone, e questa resa di Dreams è a dir poco da brivido. Formidabile.
Poi c’è una versione solo voce e chitarra del classico di Johnny Cash I Still Miss Someone, straordinaria, e una bella e convincente Luxury Liner, del suo grande idolo Gram Parsons. E tante altre chicche.

Be’, questa ristampa mi farà sentire anche un po’ più vecchio, ma chissenefrega. Mi conferma che dieci anni fa non presi una cantonata scrivendo che questo era un gran disco. Lo era allora e lo è anche adesso. Bravo (B)Ryan… God bless you...

6 comments:

Anonymous said...

ciao paolo,ritengo che (B)Ryan, pur soffrendo di 'dissenteria', sia l'autore/interprete degli ultimi anni che più ha meritato la nostra attenzione; nella sua follia è un genio; peccato non poterlo vedere un po' più spesso live dalle nostre parti.

Paolo Vites said...

mah... della sua generazione, attirano più la mia attenzione autori come beth orton, neal casal, jesse malin, gillian welch e jeff tweedy, per dirne solo alcuni

forse tweedy è un po' più vecchio di R.A.

ciocco72 said...

per me cold roses e' uno dei suoi piu' bei dischi ma e' un giudizio di straparte!Adoro ryan e la sua folle idea di musica.
Yes Neal Casal(di cui sono il tenutario del sito italiano) ha piu' talento ma non ha la follia di Ryan o magari solo la fortuna... tant'e' che ora le parti di chitarra nei live sono 100 volte meglio di qualche anno fa.Oppure Dear John rifatta ? Ryan mi sembra un po' Dylan in questo senso "succhia il talento altrui e lo fa suo"... ok ora mi puoi sparare!

Anonymous said...

io a quello che ha gridato "canta summer of '69" sarei andato a stringere la mano. il rocker italiano presuntuoso a cui alludi l'ho incontrato lo scorso venerdì. come sempre il migliore.

andrea

Paolo Vites said...

ciocco! mannaggia, mi dimentico sempre del tuo sito... dopo lo linko...

andrea... begli amici che c'hai...

Anonymous said...

bah, a me è piaciuto molto Songbird, l'album che ha prodotto a Willie Nelson, per il resto mi sembra un grande, che certo a volte fa un pò di copia incolla ma....insomma, mi sembra uno che o si ama o si odia, tipo Van Morrison o Dylan (io li amo tutti e 3).
Paolo, grazie per quello che scrivi, Marcello

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