Monday, January 14, 2008

This must be the night

Alla fine degli anni 70, era difficile in questa picola Italia musicalmente male informata capire cosa succedesse veramente dall'altra parte dell'Atlantico, là dove sin dagli inizi batteva il nostro rock'n'roll heart. Internet non esisteva neanche nei sogni più selvaggi e allora dovevi affidarti alle poche notizie che scoprivi di traverso su qualche sparuta rivista musicale. C'eravamo accorti che il nostro grande sogno di California si era infranto, e l'unico di cui sapevamo sempre (quasi) tutto era ovviamente Bob Dylan, fenomeno mediatico sempre sulla cresta dell'onda anche grazie al ritorno in Europa nel 1978.

Punk, new wave e quant'altro, non ci capivamo un tubo e poi i Sex Pistols erano spariti nel giro di pochi mesi. Solo più tardi avremmo scoperto che nella bolgia infernale del CBGB's e dintorni, a Manhattan, approffittando della gran confusione, si erano gettati degli inguaribili romantici che sognavano i Drifters e Dion, il Bob Dylan di Blonde on Blonde e i Velvet di una femme fatale. Due di loro, soprattutto, ci sarebbero entrati nel cuore, cantori e poeti delle night lights di NYC, Elliott Murphy e Willy DeVille, ai tempi ancora come Mink DeVille.
Il destino li avrebbe accomunati entrambi: troppo profondi, troppo incorruttibili alle lusinghe del commercio, troppo fedeli all'etica del rock'n'roll, si sarebbero duvti adeguare al destino di "americani a Parigi", o magari ad Amsterdam. Insomma, l'Europa li avrebbe accolti trionfalmente e l'America si sarebbe quasi dimenticata di questi suoi due figli eccellenti.

La prima volta che ho visto Willy in concerto è stato - credo - nel 1991, al Rolling Stone di Milano, adirittura come Mink DeVille, una di quelle serate che ti trafiggono in due, blinded by the light da una musica inguaribilmente romantica, sulle note di un sax latino che implorava le luci di Little Italy e Spanish Harlem: "this must be the night" cantava quell'incredibile sosia di Capitan Uncino sul palco, e quella fu la notte. Quando la musica viene suonata come se fosse l'ultima occasione in vita e tu ne vorresti smepre di più.

L'ho rivisto poi altre volte, durante il periodo del formidabile disco Backstreets of Desire, quello della prima sbornia su New Orleans e il Messico, e Willy era diventato una sorta di Zorro in cerca di tequila, il periodo di Hey Joe come se ci si trovasse a Tijuana e di Demasiado Corazon, diventata nota - ahimè - come sigla di Zelig. Concerti di una intensità formidabile anche questi, capaci di portarti fra le luci (rosse) del French Quarter della capitale della Louisiana.

Parlare con DeVille era una delle ultime ambizioni rimastemi, ed è stata finalmente soddisfatta. Quando gli dico che il suo sguardo - della serie "che cazzo ci faccio qui" - quando qualche anno fa fu portato sul palco dello Zelig ad eseguire appunto Demasiado Corazon e a sorbirsi le battutine di Bisio e compagnia fu impagabile, scoppia a ridere fragorosamente: "Ma mica me lo ricordo" aggiunge poi. "Accidenti, trent'anni di questa vita, è difficile ricordarsi ogni cosa".
Ci credo, anche perché lo stile di vita di Willy lo ha portato più volte nella colonna delle notizie "nere", fortunatamente risoltesi bene, ma ancora ricordo la delusione dell'annullamento di un altro suo concerto perché "l'artista non si è sentito bene in albergo". Insomma...

Mentre parliamo al telefono, lo sento lamentarsi per la tosse e il forte raffreddore ma anche imprecare perché "non trovo quelle cazzo di sigarette". Impagabile Willy. Mi racconta storie stralunate in cui spesso perde il filo di aver visto il Grande Spirito alzarsi sopra Manhattan mentre passeggiava per la Sesta Avenue (Willy è parte irlandese, parte francese e parte nativo americano), oppure di aver visto da ragazzo John Lee Hooker e di aver percepito la paura che la musica può anche procurare. Si intristisce dicendo che tutti i grandi del blues ci hanno lasciati uno dopo l'altro, ma poi ride di gusto quando mi dice che a 17 anni si trovava in un locale di New York e c'era questo tipo che cantava. Chiese al proprietario chi fosse e quello gli disse "Non so, uno che sembra Bob Dylan". "No way!" si infervora Willy, "era Paul Siebel e Bob Dylan non potrebbe mai cantare così bene! E io lo posso dire perché sono amico di Bob e Bob mi darebbe ragione". Ok Willy, take it easy...

Quando era più giovane, l'unica cosa che sognava era di avere una band di cui NYC potesse essere orgogliosa. Perché quella città ha prodotto alcuna della miglior musica di sempre. Prima di salutarlo gli chiedo se ha coronato quel sogno. "Non dovrei risponderti, perché sembrerei presuntuoso". Si zittisce, poi aggiunge con un tono per la prima volta non più spavaldo o visionario, ma quasi umile: "Però credo di sì. Ho sempre avuto i migliori musicisti con me. Ne sono grato a Dio, e sono grato a Dio di avermi permesso di fare tanta buona musica. Credo di aver saldato il mio debito con New York. Questa città mi ha dato tanto, ma credo di aver fatto musica degna di lei".

Pistola (lo so, è un titolo che a noi italiani fa ridere, ma Willy dice che in slang - da ragazzo - quando vedevano delle belle ragazze, lui e i suoi amici si dicevano: "Man, that girl is a pistol!", cioè quella ragazza è proprio "carina"...) esce nei negozi fra poco ed è un gran bel disco, consigliato. Ad aprile suonerà alcune date in Italia. E' ovvio... "this must be the night"...
(intervista completa su JAM di febbraio)

2 comments:

Anonymous said...

Elliott e Willy: vedrò il primo a marzo, dalle mie parti, e il secondo spero prima possibile.
Ho molti album però... ottimo e prolifico "dylaniano" il primo, velenoso e "maledetto" il secondo.
Spesso nel marasma musicale (tutti fanno musica oggi) o sei un mostro sacro (Dylan su tutti) o rischi quasi l'anonimato, pur quando fai qualcosa di qualità.
E' giusto parlare di questi artisti di tanto in tanto, perchè a differenza di tante porcherie standardizzate e preconfezionate che ci sono in giro, pompate a palla soprattutto dalla tv, per i teenagers, è per merito di quei pochi mostri sacri come Dylan appunto, e poi di questi artisti "minori", che possiamo sentire nel cuore che la musica Rock è viva, e pulsa forte.
Ancora grazie, Paolo

Luca Skywalker

Anonymous said...

Beh, che dire, io sono veramente innamorato di Willy, lo sono dai tempi dei gloriosi Mink, per me è stato sempre odore di fumo, blues, colori, il vecchio teatro tenda di Lampugnano dove l'ho visto la prima volta, Spanish Strools (o come cavolo si scrive), New York e New Orleans,la chitarra di Knopfler in Miracles, insomma un fiume di ricordi.
Grazie Paolo, Marcello

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