Tuesday, June 02, 2009

Tutto più chiaro che qui

Giugno è un po' il mese della mia famiglia. Ci siamo nati io, mia sorella e anche la mia prima figlia. Anche qualche nipote. Nel giugno di dieci anni fa, poi, se n'è andato mio padre. Quando ero un bambino, pregavo che quel giorno venisse quando fossi cresciuto abbastanza, che fossi già uomo. Contavo i miei anni, e quanti ne avrebbero potuti avere loro perché l’età di tutti fosse ragionevole e accettabile. Non sopportavo l’idea di perdere i miei genitori che fossi ancora piccolo.
Credo di essere stato ascoltato perché quando è successo avevo 36 anni. È dieci anni, adesso, che non ci sono più: mio padre a giugno, mia madre quattro mesi dopo, tutti e due nel 1999. E no, non sembra ieri, come si dice in queste occasioni. Mi sembra ieri quando ancora erano vivi, ma la morte, la loro morte, è qualcosa di sospeso nel tempo e nello spazio, che non so bene, 10 anni dopo, dove collocare, in quale momento della vita sia veramente accaduta.

Mio padre è stata la prima persona morta che ho potuto vedere. Era un momento che avevo temuto, invece mi fece poca impressione. Quando sono stati gli ultimi minuti della sua vita, ha raccontato chi era lì con lui che avesse chiesto una sigaretta. Aveva sempre fumato un casino, e però se n’è andato di qualunque tipo di malattia eccetto quelle legate al fumo. Ricordo quando, da piccolo, dopo pranzo mi mandava in sala a prendere il suo pacchetto di sigarette. Lo portavo in cucina aspirandone con forza l’odore, quell’odore di tabacco mi piaceva da impazzire. Forse è stato così che ho messo dentro di me la voglia di fumare. Quando ho avuto dei figli e ho cominciato a passare i miei sabati e le domeniche ai giardinetti, o al cinema con loro, ho provato a ricordare un momento solo della mia vita in cui lui avesse mai giocato con me. Non me n’è venuto in mente uno, perché non è mai successo. Erano altri tempi: mio padre era di un mondo antico, nato nel 1919, educato in un certo modo, ad esempio a tenere una certa distanza dai figli.

Quattro mesi dopo se ne andò anche mia madre. Da tempo era ricoverato in un centro apposito, lontano dal marito, in un’altra città, per tanti suoi problemi fisici. Oramai aveva perso quasi del tutto l’uso della ragione, non so neanche se mi riconosceva. Credo di sì, comunque. La notte che suo marito morì, a centinaia di chilometri di distanza, dicono le suore che erano con lei che abbia gridato tutta notte: “Mio marito sta male, mio marito muore”. Evidentemente vivere insieme tanta parte delle proprie esistenze porta a legami che vanno al di là di qualunque cosa. Certi sentimenti, il vivere una vita insieme, ci impregnano talmente che rimaniamo legati uno all’altro fino all’ultimo respiro, anche a centinaia di chilometri di distanza. E’ bizzarro anche che lei se ne sia andata a così poca distanza da lui, quasi a voler ricomporre il più in fretta possibile quel legame che li aveva tenuti insieme, nel bene e nel male, una vita intera.

In questi dieci anni non credo di averli mai visti in sogno, come si dice accada spesso a chi perda i genitori. Ho pianto una sola volta, durante i due funerali. A quello di mia madre, mia sorella ha fatto una cosa un po’ all’americana, un discorso in suo ricordo. Alla fine, ha ricordato una frase di nostra mamma che io avevo rimosso completamente. È stato come risentire improvvisamente il suono della voce di lei. È stato in quel momento che ho pianto. Quando, la domenica mattina, un po’ esasperata, veniva a beccarci uno per uno e ci rimbrottava: “Non si sta in pigiama fino a mezzogiorno!”. In questi dieci anni, mi sono scoperto a dirlo anche io alle mie figlie. Con risultati meno convincenti di quelli che aveva lei, naturalmente. In quei momenti non mi dispiace più che loro non vengano a visitarmi in sogno, o che io non glielo lasci fare per qualche motivo che non mi è ancora chiaro. In quei momenti loro ci sono, e tanto basta.

Mia figlia, la più piccola, non ha fatto in tempo a conoscerli. È nata dopo. A volte, quando la sgridiamo per qualche capriccio, o quando litiga con la sorella, corre in camera mia, prende la foto dei nonni che non ha mai conosciuto che tengo sul mio comodino e se la porta in camera sua. L’ho trovata diverse volte piagnucolante sul suo lettino con la foto dei nonni stretta fra le braccia. Anche in quei momenti loro ci sono, stanno facendo il loro dovere di nonni. Anche 10 anni dopo. Perché i legami di una vita non si spezzano. Continuano, in modi misteriosi.

15 comments:

anna said...

Ci sono ed è così bello ricordarli... la tua storia.

È tutta stesa al sole, vecchio, questa vecchia storia.
Tutta nelle tue gambe, e nella tua memoria.
Che hai visto il Tevere quand'era giovane,
che si poteva nuotare,
che hai visto il cielo quand'era libero,
che si poteva guardare.
E hai visto l'aquila volare.

Ma tu, dimmi che cosa vedi adesso tu?
Che adesso quasi non ci vedi più.
Dimmi che cosa vedi tu da lì.
Dimmi che è tutto più chiaro che qui,
tutto più chiaro che qui.

(...)

(Francesco De Gregori)

anna said...

Ci sono ed è così bello ricordarli... la tua storia.

È tutta stesa al sole, vecchio, questa vecchia storia.
Tutta nelle tue gambe, e nella tua memoria.
Che hai visto il Tevere quand'era giovane,
che si poteva nuotare,
che hai visto il cielo quand'era libero,
che si poteva guardare.
E hai visto l'aquila volare.

Ma tu, dimmi che cosa vedi adesso tu?
Che adesso quasi non ci vedi più.
Dimmi che cosa vedi tu da lì.
Dimmi che è tutto più chiaro che qui,
tutto più chiaro che qui.

(...)

(Francesco De Gregori)

Maurizio Pratelli said...

che dire, bellissimo leggerti in questi ricordi. Mia madre se ne andò quando avevo 8 anni. Per anni vissi nel terrore che dio si portasse via anche mio padre. Non successe, ma tutto cambiò per sempre.

Fausto Leali said...

Ancora una volta, forse molto più che altre volte, sono entrato in punta di piedi in un tuo scritto e l'ho percorso a poco a poco, sempre più timoroso, mano a mano che percorrevo questo pezzo della tua strada, di poterla in qualche modo disturbare.
Ma sono grato che tu l'abbia condivisa.

SOAVE ALLEGRO RISOLUTO said...

thanks.

antonio lillo said...

mi hai commosso mr. vites, e io mi commuovo raramente... è una sensazione strana... hemingway al mio posto ti direbbe: "vecchio bastardo!"

silvano said...

Strane bestie i blog, leggi l'intimo vero degli altri e li scopri molto vicini e molto simili, quasi fratelli eppure sai che non li conosci eppure ti permetti di guardarli, loro si permettono di farsi guardare.
Bisognerebbe conoscersi per superare l'impasse. Adesso mi piacerebbe conoscerti e stringerti la mano.
ciao.

Skywalkerboh said...

aprire le porte dell'anima è una cosa tosta...

un abbraccio

Luca Skywalker

ciocco72 said...

ho pianto... stronzo! non eri uno scribacchino di musica? cazzo!

Anonymous said...

Ciao Paolo.
Bel Post.
Secondo me incontriamo un sacco di persone nei sogni, ma non li ricordiamo perché razionalmente non siamo in grado di accettare queste cose.
Daniele

Anonymous said...

grazie zio.
di avermi ricordato da dove vengo e quanto abbia reso e renda più vera la mia vita questa mia origine, nonostante tutto, anzi ... attraverso questo tutto!
(una delle nipoti nate a giugno..!)

Paolo Vites said...

Ciao nipotina... auguri

blondeinside said...

Mi sono Commossa.
L'empatia che si prova quando qualcuno fa esperienza dello stesso dolore che abbiamo provato sulla nostra pelle, è qualcosa che non si riesce a spiegare.
E' come entrare a far parte di un "club" di cui solo gli iscritti possono comprenderne l'essenza.
Ti abbraccio virtualmente.
Blondeinside
p.s. E sì, il dolore non passa mai, ma misteriosamente l'assenza spesso diventa una presenza.

Paolo Vites said...

grazie blonde, grazie a tutti.

Laura said...

e zac! mi arriva 'sto post mentre sono reduce da un sogno con mia madre

la sogno, ma non sono (ancora) riuscita a parlarne
ma tu l'hai fatto (anche) per me.

thx

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