Sunday, January 02, 2011

Un italiano a New York

Che posso fare con questo desiderio eterno?
(da una canzone del gruppo magrebino dei Tinariwen)

Non sono invidioso. Ovviamente, sì lo sono. Sono invidioso perché Riro ha fatto quello che io non ho mai fatto né, ormai ne sono certo, farò mai. Non più ragazzino, anzi, con una famiglia "dietro" le spalle, un lavoro avviato, insomma già superato il bel mezzo del cammin di nostra vita, ha mollato tutto e un po' come i migranti che approdavano a Ellis Island a inizio del Novecento, è approdato a New York Cty. The Big fuckin' Apple. Ovvio che sono invidioso, ho sempre sognato di farlo anche io, ricordo che lo sognavamo io e un compagno di sucola ai tempi del liceo, di farlo insomma appena diventati maggiorenni. Io mi sono spostato dalla mia hometown di soli 146 chilometri (da casello a casello), lui, Riro, di migliaia di chilometri e a NYC c'è andato, si è creato un lavoro, c'ha portato la famiglia intera. Di lui avevo già parlato qui: perché accidenti, oltre ai dischi scrive anche libri, e belli. Sì è ufficiale: sono invidioso.

E siccome già quando era in Italia Riro Maniscalco era un music lover, a New York ha affilato ancor di più la sua passione per la musica. Di dischi ne aveva già fatti diversi, questo - la mia prima recensione del 2011, e l'ultimo disco che nuovo che ho ascoltato nel 2010 - è il mio approccio approfondito alla sua musica. Sketches of You si intitola, che è già un bel titolo, che fa venire in mente un certo Sketches of Spain. Che poi anche il suo nome è già un bel programma: Maniscalco, the Carpenter,come quella straordinaria canzone, If I Were a Carpenter. Più o meno. Sketches of You è una raccolta di "schizzi" acustici, o quasi. C'è dentro un gusto per la melodia decisamente notevole, affiorante dei tanti ascolti che Riro ha fatto nella sua vita. A volte viene in mente il John Lennon solista, altre tanti country singer dei più nobili. Ancora, certi pezzi mi fanno venir ein mente un gruppo che io amo moltissimo, i Great Swimmers Lake, abili autori di folk pop di classe. Chissà se Riro li ha ascoltati. E' un disco che negli anni 70 avrebbe avuto quotazione alta negli scaffali dei negozi e della critica che conta(va). Su tutte, metto la fascinosa I Wish, il brano che gode di maggiori interventi strumentali (opera del bravo Jonathan Fields) canzone che viene costruita su un crescendo incalzante di grande efficacia. E la prova vocale di Maniscalco è da antologia. Altre volte Riro si rifugia nella quiete di ambientazioni più intime, sussurrate, notturne. Si rifugia nelle corde tese di mandolino, dobro e banjo (Marco Zanzi, leggenda del bluegrass made in Italy) o nelle corde spesse di un violino, finanche una fisarmonica, per dar sfogo alla sua malinconia, di italian bluesman.

Ho messo a inizio di questo post una citazione dei Tinariwen, gruppo di tuareg "african rock" scoperti da Robert Plant. Perché quella frase, pronunciata da gente così lontana dall'immaginifico occidentale, dà il senso dell'unità di Cuore (che metto apposta con la C maiuscola) che alberga in tutti gli esserei umani. E'quello che fuoriesce dai testi delle canzoni di Riro. Testi che parlano, come intitola un pezzo del disco, di "signs (of an absence Presence), segni di una presenza assente. Come i Tinariwem come me che sto a Milano, come Riro che sta da italiano a New York, tutti abbiamo nel Cuore i sengi di una Presenza assente, un desiderio eterno con cui non sappiamo fare i conti. Nel cantare questo, Riro fa sorridere ("Drop me a line send me a text message that is the way in 2010"), poi mi( (ci) tira dentro ("Pour me some wine, a shot ov vodka cold please, light up a cigarette for me") e infine afferma ciò che è valido per tutti: "Tell me how come nobody feels the loving, the loving we're all longing for". Già: come è questa storia che nessuno sente l'amore, quell'amore a cui tutti aspiriamo. "My need for love turns heaven into hell" dice altrove, "being chased by a million ghosts". C'è un grido che emerge evidente nelle canzoni di Riro Maniscalco. E' il mio grido, il grido di tutti: "And it's you missing, you missing, where are you now?". C'è il senso del tempo che passa: come dice sempre un mio amico, più passano gli anni e più la vita diventa difficile. Come dice Riro, "Time passes gently, and gently takes vmy hand, tears dropping gently and you gently wipe them all, hold my hand gently, and guide me through that door". Per quando si arriva alla fine del disco, quella presenza non è più un'assenza. E' una mano gentile che ci guida nello scorrere (arduo, faticoso, sanguinante) del tempo che passa.


Info, acquisti etc:
www.itacalibri.it
www.bluesandmercy.com

3 comments:

Maurizio Pratelli said...

That's the reason that
I've gotta get outta here§
I'm so alone, don't you know that I gotta get outta here
'Cause New York's not my home....

Anonymous said...

Porcaccia miseria, può anche succedere che, alla fine, ci si trovi innamorati di un'Assenza, per la sua presenza costante , inevitabile. Che compagnia inaspettata...

In fondo , però veramente, le separazioni non esistono, ma per arrivare così in fondo bisogna camminare, o volare tanto... ! Non è un merito,certo, forse una devozione, un sogno, un'appartenenza?

:-)
kc

Gabriele Gatto said...

Cribbius, Riro!
Quando è venuto a presentare il suo libro a Torino e gli ho prestato la chitarra per un po' di pezzi ho avuto seriamente paura che me la riconsegnasse a pezzi, tant'è la foga con cui suona. Sono curioso di ascoltare...

Sangue nei solchi del cuore

“Bob Dylan è in città, c’è bisogno di catturare qualcosa di magico”. La “città” è ovviamente New York, al telefono John Hammond, il più gran...

I più letti