Tuesday, January 08, 2008

The wicked messenger

La data di uscita esatta non se la ricorda nessuno. C’è chi dice pochi giorni dopo il Natale del 1967, c’è chi dice nei primi giorni del gennaio 1968. Comunque,più o meno, quarant’anni fa, per quello che sarebbe rimasto come il disco del ritorno lungamente atteso di Bob Dylan dopo l’incidente con la motocicletta del 29 luglio 1966 (curiosamente, esattamente un mese dopo, il 29 agosto, i Beatles tengono, a San Francisco, il loro ultimo concerto; in un certo senso, si può dire che gli anni 60 finiscono in questo breve spazio di tempo, tra il 29 luglio e il 29 agosto 1966, quando l’artista e il gruppo rock più innovativi della decade si ritirano entrambi dalla luce dei riflettori, salvo tornare in modi diversi e comunque profondamente mutati; entrambi smettono di esibirsi dal vivo con una sola eccezione sia per l'uno che per gli altri, a gennaio '69 sul tetto della Apple i Beatles, ad agosto '69 all'Isola di Wight Dylan) e prima del periodo, come lui stesso lo definì, “di amnesia” che lo avrebbe condotto a pochi e sconclusionati dischi tra il periodo 1969 e 1974.

John Wesley Harding, definito dall’autore “il primo disco di rock biblico” perché liricamente influenzato dalla lettura del Sacro Testo, rimane ancora oggi come un piccolo enigma nel percorso del suo autore e della musica rock stessa. In piena esplosione psichedelica (la scena di San Francisco e dall’altra parte della Manica, i Pink Floyd) e già con le prime avvisaglie di hard rock (le ultime poderose bordate dei Cream e i Led Zeppelin che presto sarebbero entrati in studio per registrare il loro esordio) Dylan se ne usciva con un disco dal passo apparentemente tranquillo, registrato con semplice accompagnamento di basso e batteria e le sue chitarra acustica e armonica.
Per la prima volta, poi, aveva scritto i testi prima delle musiche, testi che abbandonano la visionarietà allucinata e anfetaminica di poco tempo prima per adagiarsi su sermoni moralisti, visioni da apocalisse e rivisitazione angosciata dei miti del proprio Paese (dai Padri Pellegrini a Tom Paine fino al fuorilegge del Vecchio West John Wesley Hardin – senza “g” ovviamente, aggiunta da Dylan per allontanarsi dalla storicità del personaggio).

È una musica antica, così senza tempo che di tutti i dischi usciti in quel periodo, questo album suona oggi forse come il più fresco e contemporaneo di tutti, una musica che risaliva all’estate “della cantina”, quando, nel giugno e luglio 1967, Dylan e amici di The Band avevano registrato la loro versione della “repubblica invisibile” aggiornata ai tempi correnti, i nastri passati alla storia come Basement Tapes e che avevano profondamente influenzato il percorso di tutti quanti ne erano stati coinvolti. Al disco come lo aveva registrato in pochi giorni a Nashville, lui avrebbe voluto aggiungervi il suono dei suoi amici di The Band: chiese a Robbie Robertson e Garth Hudson, infatti, di aggiungere a quelle registrazioni chitarra elettrica e tastiere. Loro gli risposero “sei pazzo, questo disco è perfetto così”. Possiamo immaginarci come avrebbe suonato John Wesley Harding se avessero fatto ciò ascoltando le versioni live di alcuni brani come Dylan e The Band li eseguirono un anno dopo al concerto all’Isola di Wight, versioni dal taglio spigolosamente rock proprio come la musica di The Band, e forse è stato meglio così, per entrambi. L’esordio del gruppo, avvenuto qualche mese dopo, forse sarebbe stato meno sorprendente.

Appena uscito, JWH viene “divorato” dai tanti fan di Bob Dylan, ad esempio Jimi Hendrix che comincia a riprenderne diversi pezzi, fino ovviamente all’epocale resa di All Along The Watchtower, un pezzo che annuncia profeticamente l’apocalisse del ’68 che ben presto si sarebbe scagliata sul mondo. Se nel pezzo di Dylan questa apocalisse rimane sospesa a mezz’aria, nella devastante resa del chitarrista di Seattle essa si scaglia a forza di esplosioni furiose sull’ascoltatore: “Deve esserci una via di uscita da qui”, si chiedono senza molta speranza i protagonisti del brano. Nell’anno della rivoluzione, molti avrebbero cercato, senza trovarla, una via di uscita.

In copertina, qualcuno, seguendo la moda dell’epoca, avrebbe voluto vedervi dei messaggi nascosti: nel tronco del grosso albero centrale, capovolgendo la foto, si vedrebbero nascoste le faccine dei quattro Beatles, una specie di risposta alla loro inclusione di una sagoma di Dylan nella cover di Sgt. Pepper: non affannatevi a girare di lato il vostro cd, si vede qualcosa soltanto sulla foto del vinile originale, ma in effetti sembra proprio di scorgere i volti di John, George, Paul e Ringo.
Un disco, John Wesley Harding, che non sarebbe mai stato portato in tournée e che rimane come una profezia, o forse un'anatema, sui "tempi che stavano cambiando", per quanti riuscirono ad accorgersene. Uno dei pochi a farlo fu Jon Landau, il futuro scopritore di Bruce Springsteen, che nella sua recensione sulla rivista Crawdaddy, scrisse: "Dylan dimostra una profonda conoscenza della guerra (in Vietnam, nda), e degli effetti che sta avendo su di noi. Questo non significa che qualche canzone in particolare parli della guerra, o che qualche canzone sia una protesta contro di essa".

E ancora, cogliendo perfettamente il senso profondo di quello che Bob Dylan era (ed è ancora) e che quasi nessuno, allora come oggi, riesce a capire dell'artista: "Il Dylan di JWH è profondamente morale. Naturalmente Dylan è sempre stato un moralista, ma in questo disco la natura del suo moralismo è alterata. Nel passato i suoi giudizi erano il risultato di irrealistiche, stereotipate rappresentazioni del bene contro il male. Erano il moralismo kitsch della giovane America. Un moralismo pop, al massimo".
Avrà anche scoperto il futuro del rock'n'roll, ma ci manca la lucidità e la profondità del giornalista Jon Landau.

4 comments:

Spino said...

Alcuni album di Bob fanno davvero paura sia per la loro componente profetica sia per quanto riescano ad essere attuali ancora oggi... c'è da preoccuparsi per cosa troveremo nei testi del prossimo album...

Anonymous said...

e il bello di Dylan è questo: ogni suo album è multidimesnionale, se stai attento ci trovi di tutto
Dylan non si presta MAI ad ascolti distratti

Luca Skywalker

Fausto Leali said...

bellissimo post, Paolo, questo é uno degli album meno conosciuti di Dylan, tutto sommato, ma a tutt'oggi uno dei miei preferiti.
thanx

Anonymous said...

E' l'atmosfera che crea a rendere JWH un disco musicalmente convincente e attuale ancora oggi. Ci sono buone canzoni ma nessuna è un capolavoro (no, neanche Watchtower), però l'album ha una'identità estremammente forte, musicalmente e soprattutto emotivamente, che non viene mai meno, neanche nei brani più leggeri come Down Along The Cove o I'll Be Your Baby Tonight.
Non so se sia un album moralista o di redenzione. Sicuramente è un album che arriva allo stomaco prima di arrivare al cuore.

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