Friday, February 13, 2009

Vecchio amico, di giorni e pensieri

“E un' altra volta è notte e suono,
non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo
e voglio in questo modo dire "sono"
o forse perché è un modo pure questo per non andare a letto
o forse perché ancora c'è da bere
e mi riempio il bicchiere”


L’altro giorno in macchina mi è capitata fra le mani una raccoltina di sue canzoni che mi ero fatto un giorno e poi dimenticato. E mi è tornato in mente, di come un tempo “divorassi” i suoi dischi. Fino a Metropolis. Poi anche per lui sono cominciati gli anni 80. Ha cercato di diventare un musicista, ma lui era uno scrittore in musica. Ma da Folk Beat n. 1 fino a Metropolis le sapevo tutte a memoria. Alcune, ho anche provato a impararle con la chitarra senza grandi risultati. L’ho visto in concerto una sola volta, Genova, Palazzetto dello Sport, inverno 1980. Un bel 10mila spettatori e lui da solo, con un chitarrista, sul palco, a tenere tutti a bada. Altro che rock’n’roll. Scusate, non da solo. Il bottiglione di vino al suo fianco, da cui tracannare a ogni canzone. Chissà se oggi lo fa ancora, di portarsi il bottiglione di vino sul palco. Dubito. Allora, Francesco Guccini era il fratello freak di tutti noi. Quella foto sul retro copertina di Stanze di vita quotidiana era perfetta: look da hippie di San Francisco. Nessuno come lui in Italia.
Oggi sembra diventato il preside di quel film di Pieraccioni che lui stesso ha interpretato. Mi dicono che canta sempre La locomotiva e che immancabili si alzano sempre migliaia di pugni chiusi. Anzi, mi dicono che è cazzosamente e politicamente più impegnato oggi di 30 anni fa. È curioso, perché se c’era un buon motivo per essere schierati politicamente era proprio allora, negli anni 70 (ok, oggi c’è il Berluska, vero? Ok). Ma allora, ogni giorno “revolution was in the air”. Lo erano, lo eravamo, tutti, impegnati politicamente. Lui, invece no. Cantava di solitudine, disperazione, nostalgia e tristezze assortite. Lo faceva non per farti sentire uno sfigato, ma perché cercava, cercava disperatamente un significato al vivere. Era stoico, aveva le palle. Poi andava decisamente contro corrente, l’unico che scrisse una canzone contro l’invasione sovietica di Praga. Che dischi formidabili.
Via Paolo Fabbri 43 è per me il suo disco perfetto. Non solo perché, finalmente, era suonato e prodotto bene. Tutti avevano bellissime canzoni, ma Radici, ad esempio, era (ed è) inascoltabile per come fu registrato. Questo invece non sembra neanche un disco degli anni 70. E che infilata di brani memorabili uno dopo l’altro: sei, il numero perfetto di Guccini. Perché le sue erano canzoni lunghe lunghe, come dei libri. Piccola storia ignobile, a tema l’aborto, ma non per farne una bandiera politica, ma per raccontarne il dramma. Ricordo che per scandalizzare mia madre la mettevo su ogni volta che lei entrava in camera mia. Canzone di notte n. 2, arpeggio fingerpicking, arie di country music, quel solo di chitarra buttato là in mezzo. Dio quanto lo amavamo quest’uomo. Con quelle parole, che prima ci facevano alzare in piedi, pronti a scendere per le strade (“Però non siate preoccupati, noi siamo gente che finisce male: galera od ospedale! Gli anarchici li han sempre bastonati e il libertario è sempre controllato dal clero, dallo Stato”), poi ci faceva capire che neanche una rivoluzione è abbastanza (“O forse non è qui il problema e ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi e ognuno costruisce il suo sistema di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali, scordando che poi infine tutti avremo due metri di terreno”). Maestro di realismo, il compagno Francesco.
L’avvelenata. C’è bisogno di dire qualcosa per la più grandiosa canzone del vaffanculo di tutti i tempi? È il vaffanculo messo in musica, e ditemi chi ha saputo fare meglio, e ditemi se non l’avremmo scritta tutti noi, al posto suo. Canzone quasi d’amore, "il vuoto che al solito ho di dentro”… cazzo sapevi parlare di noi, compagno Francesco. Il pensionato… “Il pensionato è uno dei miei soliti ritratti di diversi, di emarginati perché ultimi residui di una cultura che sta scomparendo”: come Radici, perché senza memoria dove vogliamo andare?
È un disco così memorabile, così perfetto, che ancora oggi il Guccini-preside usa quella facciona in copertina per pubblicizzare i suoi concerti.

Potrei parlare di quanto ho amato e amo un disco come Stanze di vita quotidiana, con quell’ode leopardesca in musica che è Canzone per Piero, la più bella canzone sull’amicizia. Ma ho già parlato abbastanza.
L’ho incontrato una volta sola, di sfuggita. Eravamo a Conegliano, a un festival di poesia, metà anni 90. Io accompagnavo Eric Andersen. Stavamo entrando nel backstage, eravamo pieni di borse e chitarre e lui, che era già dentro, corse ad aprirci la porta gentilissimo e umilmente ci aiutò a sistemare i bagagli. Aveva riconosciuto Eric, uno dei grandi folksinger che lui da ragazzo aveva ascoltato sicuramente, insieme all’amato Bob Dylan. Non ci parlammo, si fece di lato insieme a un suo amico e diedero sotto a un paio di bottiglie di vino. Era un gigante, fisicamente, e sprigionava ancora tonnellate di carisma. Mica il preside di Pieraccioni. Lo guardai a lungo con malcelato affetto senza rivolgergli la parola. Il compagno Francesco, “mio vecchio amico di giorni e pensieri…”.

9 comments:

silvano said...

Paolo, non è retorica, mi hai commosso. Tu eri più ribelle perchè ascoltavi piccola storia ignobile per scandalizzare tua madre, io invece la ascoltavo di nascosto, l'orecchio appoggiato all'altoparlante del registratore portatile, per non farmi accorgere dai miei che mi sgridavano altrimenti.
Dischi imparati memoria, potrebbe essere il titolo di un libro, di un racconto, di un post. Però era vero, dischi imparati a memoria a quesi tempi, ed i testi, mica scaricati da internet in un click, ma ricopiati a mano sul diario.
Trovo la tua definizione di scrittore prestato alla musica perfetta. Sì Francesco, morto Fabrizio, è insieme ad un altro paio d'autori, oggi il più grande testimone di quel periodo d'oro della musica italiana. Incredibile a pensarci oggi quanto circolavano le idee e le contaminazioni (penso Dylan e Cohen) vere a quei tempi.
Grazie Paolo, silvano.

Paolo Vites said...

silvano, io ero un bastardo :-)...

grazie, mi viene impossibile pensare cosa sarebbe stata la ns vita senza qs personaggi che cantavano le ns vite

silvano said...

In un certo senso siamo stati sfortunati. Però mi viene da pensare ai ragazzi di oggi...Hanno molte cose, molte di più di quelle che avevamo noi, ma però non hanno più nessuno che li canti.
ciao.

ciocco72 said...

Amato , divorato e poi rigurgitato.
Ogni tour sono tentato di riandarlo a vedere , l'ultima fu tipo 10 anni fa. Il 6 e' a varese, dove lo vidi la prima volta , sei gia' il secondo che me ne parla : e' un segno?

Laura said...

è un segno, sì
il 6 a varese
e non so più quanti anni fa, a varese, il 12 aprile, nevicava

lui entrò dicendo '...e buon nataaale!'
si sedette, e iniziò a cantare

è un segno, sì
il 6 a varese
per tornare a visitare la me diciottenne

grazie. potrei sottoscrivere quasi tutto quanto hai scritto tu.

Maurizio Pratelli said...

Via Paolo Fabbri 43 è stato un disco fondamentale, quello di Guccini che ho ascoltato mille volte. Mi commuove ritrovare raccolti in questo post tanti pensieri che sono un po' anche i miei. Grazie Paolo, bellissimo ricordo

silvano said...

Maestro Vites, per me sarebbe un onore un suo cenno, commento, aneddoto ;-)
http://31canzoni.blogspot.com/2009/02/canzone-n-23-like-rolling-stone-bob.html
ciao.

Paolo Vites said...

letto, bello

anedotti o storie su LARS non ne ho, se non che in 25 anni di concerti di dylan non credo di aver mai ascoltato una LARS decente.. forse quella del 1987

Anonymous said...

L'ho scoperto nel 1993 con l'uscita di Parnassius Guccinii, avevo 17 anni. La differenza con voi è che non dovevo ascoltarlo di nascosto o "contro" i genitori, perchè i miei sono suoi coetanei, oltre che conterranei. Prima di ascoltarlo sapevo solo che aveva frequentato la stessa scuola dei miei, e abitava nel quartiere di mia madre. Anch'io, "Vent'anni dopo" di voi, ho amato e imparato a memoria quei dischi storici, è impossibile non farlo. D'accordo con te, Paolo, anche per me "Via Paolo Fabbri 43" è il suo disco perfetto. L'unico che oltre alle meravigliose canzoni è perfetto anche sotto il punto di vista degli arrangiamenti, che mancano invece a Radici e Stanze di vita quotidiana. Davvero un Maestro di realismo, oltre che di vita.

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