A Woodstock, dove si teneva il più significativo e dirompente (in termini di impatto sulla società reale) festival di tutti i tempi, nell’agosto 1969, lui c’era. Ad Altamont, pochi mesi dopo, nel dicembre dello stesso anno, dove si teneva un altro festival rock che con l’assassinio di uno spettatore mandava a quel paese quanto di buono si era intravisto a Woodstock, lui c’era. Al Winterland di San Francisco, nel novembre 1976, dove quella generazione che aveva sognato di cambiare il mondo a suon di chitarre ballava il suo ultimo valzer davanti alle telecamere di Martin Scorse, lui c’era. E in tantissimi altri posti.
Soprattutto, Greil Marcus era alla scrivania della più prestigiosa e leggendaria rivista rock di sempre, quel "Rolling Stone" sulla cui copertina, almeno un tempo, pur di apparire, un musicista avrebbe venduto l’anima al diavolo, o la madre al vicino di casa. Dipende dal tipo di musicista.
In realtà ci rimase per poco, la fine degli anni Sessanta e i primissimi Settanta, per poi passare a riviste concorrenti come Creem e infine decidere che scrivere di musica rock sì è bello, ma non abbastanza.
Dalla metà degli anni Settanta Greil Marcus alterna i suoi scritti rock alla professione di professore universitario: insegna American Studies all’università di Princeton, Berkeley e Minnesota e alla New School di New York. Con queste credenziali Marcus ha dato vita a qualcosa che prima di lui era inedito: scrivere cioè di rock esattamente come si scrive di letteratura o di politica, Shakespeare o Bill Clinton per capirci, dando alla musica rock la giusta valenza sociale e culturale che merita.
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3 comments:
ho capito: mi tocca acchiappare anche questo ;)
l'avevo già addocchiato in libreria...adesso mi tocca comprarlo :-)
should I?
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