Wednesday, September 24, 2008

Nel Mississippi. Un giorno di troppo

Only one thing I did wrong
Stayed in Mississippi a day too long


“È la canzone più triste, ma anche la più coraggiosa, che abbia mai sentito”. Così mi scriveva qualche giorno fa un amico inglese, raccontandomi di aver ascoltato, saputa la notizia della grave malattia di un suo conoscente, a lungo la nuova versione di Mississippi (incisa originariamente durante le session del disco Time Out Of Mind, nei primi mesi del 1997)che uscirà sul BS 8 il prossimo 3 ottobre.
Quello di “canzone coraggiosa” è un sentimento che Mississippi, già nella splendida versione che apparve su Love & Theft, aveva sempre ispirato anche a me. Non so bene perché. C’è un senso di stoicità, quello di un uomo che guarda facendosi forza in faccia le avversità che lo colpiscono, che ho sempre percepito uscire da quel brano, forse per il modo veemente con cui Dylan la esegue appunto nella versione di L&T. È un urlo strozzato in gola quello che si sente durante momenti come “Got nothing for you, I had nothing before, don’t even have anything for myseeeeelf anymore” oppure “Last night I knew you, tonight I doooon’t!”.
L’immagine che affiora alla mente è quella di un uomo abbandonato da tutti, pure da Dio, e che non ha più nulla da offrire. Un uomo sulle cui tracce potrebbe esserci un demonio, per citare Robert Johnson.
E non dimentichiamoci un verso che Nostradamus avrebbe pagato per scrivere lui, in una canzone messa nei negozi l’11 settembre 2001: “Sky full of fire, pain pourin’ down”. Come non pensare alle Torri Gemelle in fiamme e a quei corpi disgraziati che da esse volavano giù, carichi di straziante dolore?

La versione che si ascolta grazie a questa outtake cambia – apparentemente – le carte in tavola. Non c’è più la banda di fieri accompagnatori che tracimano note furiose cercando di incalzare il cantante: l’immagine che Greil Marcus diede dei musicisti di The Band intenti a eseguire il brano Baby Please Don’t Do It è quanto mai calzante anche questa volta: ascolti Charlie Sexton, Larry Campbell e soci e ti sembra di vedere un gruppo di soldati ribelli malconci che vanno coraggiosamente verso il nemico, consapevoli che hanno a disposizione una sola opzione: la morte sicura.
Ci sono solo Dylan e Daniel Lanois seduti uno di fronte all’altro, questa volta. Il primo imbraccia una chitarra acustica, il secondo una elettrica. Si sente distintamente il piede di Dylan battere sul pavimento per tenere il tempo. Stanno suonando un tempo di blues, deciso e inquietante. L’immagine, adesso, è quella di Robert Johnson seduto che guarda il muro mentre incide le sue canzoni. I soldati sono andati via, o devono ancora arrivare. La guerra non è ancora scoppiata.
Se il tempo è quello di un blues (e ben si adatta a un demonio che si fa pressante, sulle tracce del protagonista), la melodia che il cantante esegue è la medesima della versione che inciderà quattro anni dopo, anche le parole sono le stesse. Dagli evidenti errori nelle parti di chitarra si desume che questa registrazione è una prova, delle tante che si fanno in studio, per immaginare poi come suonarla con la band. Da come la canta Dylan, magnificamente, senza esitazione alcuna, è invece evidente che per il cantante il pezzo è già definitivo: a differenza della sua incurabile mania di riscrivere le sue canzoni registrazione dopo registrazione, Dylan non toccherà la melodia, il tempo, neanche un verso, nei successivi quattro anni. Lui sa che va bene così.
E di cosa canta, in queste session del 1997, Bob Dylan, in quello che è definitivamente uno dei suoi capolavori assoluti di tutti i tempi, uno di quei “masterpiece” che sembrava avesse dipinto solo negli anni 60 e in qualche sparuta occasione nei 70? Ascoltatelo come modella le parole durante i versi conclusivi, “nothing you can sell me, I’ll see you arOOound”, con l’intonazione da consumato esecutore di Appalachian ballads, la stessa passionalità che aveva messo qualche anno prima nelle incisioni dei due dischi di vecchi traditional Good as I been to you e World gone Wrog. Solo che questa volta la canzone è sua, ma non fa differenza. “Se non hai quel tipo di fondamenta, se non sei ancorato nella tradizione, non andrai da nessuna parte” aveva detto una volta. Ed è così. Questa Mississippi è antica come i canti della Carter Family, ancora di più. Questa Mississippi è di una tristezza infinita, ma anche di una commozione insostenibile. Per chi sta cantando Bob Dylan?
Lui ha detto che il pezzo ha a che fare con la Carta costituzionale degli Stati Uniti, con la dichiarazione di indipendenza e con i diritti civili (nel Mississippi, negli anni 60, si svolsero le più accese battaglie per i diritti dei neri, vedi anche il bel film Mississippi Burning); Lanois probabilmente la sentiva una dichiarazione a una donna, visto che gli chiese di inciderne una versione “più sexy”, al che Dylan lo mandò a cagare decidendo di tenere fuori questo capolavoro dal disco finito. Su Internet una volta ho letto che il protagonista del brano potrebbe essere uno schiavo di metà dell’800 che sta scappando verso la libertà, il nord, e in effetti se letto da questo punto di vista, il testo di Mississppi sembra adattarsi quasi a perfezione, inclusa l’immagine dei compagni che erano salpati sul mare insieme al protagonista, che potrebbero essere schiavi strappati via dall’Africa. E il nero che si racconta, che sogna Rosie, che vorrebbe essere nel letto di Rosie, magari è uno schiavo che ha avuto l’ardire di flirtare con un donna bianca e, condannato a morte e liberato magari da lei stessa, sta cercando di scappare al “diavolo che è nel cortile”. Immagini calzanti, se ci pensate bene. La desolazione che emerge da questa versione del 1997 può essere solo la voce di un condannato a morte.
Ma poi chi può dirlo veramente?

“Ciascuno dei dischi che ho fatto è emanato dal panorama complessivo di ciò che rappresenta l’America per me” ha detto Dylan in una intervista relativa proprio al disco L&T. “L’America per me è una marea montante che solleva tutte le navi, e non ho mai davvero cercato ispirazione in altri tipi di musica”. Mississippi è la conferma che Bob Dylan è stato la più grande voce del suo Paese, almeno dai tempi di Walt Whitman, e ancora non si vede un erede adeguato. In migliaia ci hanno provato, ma nessuno ha raggiunto le vette su cui Dylan si è seduto per scrivere un brano come questo.
Non resta che mettere questa versione del brano in repeat e ascoltarla fino allo sfinimento. Prima o poi, magari, ci svelerà il suo segreto.

11 comments:

Anonymous said...

bel post, anche se bisognerebbe "demonizzare" meno e Robert Johnson e "personificarlo" un pò di più...Ma va così, il mito del crocevia fa sempre presa..

Anonymous said...

questo post fa venire i brividi...

Fausto Leali said...

bellissimo post, suggestivo e pieno di spunti.
Sei sempre un punto di riferimento nel panorama della critica musicale!
Thanx

Anonymous said...

li mortacci... e adesso come ci arrivo al 3 ottobre?
prendo il cric e passo...

Luca Skywalker

Anonymous said...

bello anche questo
sempre pensate le stesse cose
ma tu le hai dette meglio di quanto le avessi pensate


laura_caugherl

p.s. stasera, alla casa 139, suona arturo fiesta circo. lo conosci?

Paolo Vites said...

no. vale? magari faccio un salto, tu vai?

Anonymous said...

io sì...oltre che un amico, è uno che vive il blues delle radici come fosse la sua casa. e i suoi nipotini lo accompagnano dandogli la freschezza della brianza deragliata eppure vitale. la migliore.

l

Paolo Vites said...

viva la brianza. spero di farcela, fatti riconoscere qs volta però...

Anonymous said...

YESS
che bello vederti cosi' emozionato su un pezzo del boby!! risulti s-t-r-a-o-r-d-i-n-a-r-i-o
gran post

But my heart is not weary, it's light and it's free
I've got nothin' but affection for all those who've sailed with me

un gran bel viaggio nel rock
ragman

Paolo Bassotti said...

La nuova versione di Mississippi mi ha conquistato come quella di "L&T" non aveva saputo fare in sette anni. Intendiamoci, avevo sempre riconosciuto la sua qualità, ma non mi sembrava al livello di altri capolavori di quell'album (il disco migliore di Dylan dai tempi di Blood On The Tracks?), come Po' Boy o Sugar Baby. In questa interpretazione scarna non c'è niente che distragga dalla sua urgenza e dalla sua verità. Nelle parole e nel canto si avvertono speranza e sfinimento, compassione e consapevolezza. Incredibile.

Anonymous said...

questo articolo è davvero da conservare..(incorniciato...)

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