"Andiamo.
Dove?
Non lo so, l'importante è andare
(Jack Kerouac, On the road)
La strada, il viaggio, ben prima dello scrittore simbolo della Beat Generation, sono i miti americani per eccellenza. Con la differenza che una volta si viaggiava verso una meta, sfuggente e difficile da acchiappare quanto si vuole, ma un obbiettivo c'era: the promised land, la terra promessa.
Una volta che la si è raggiunti, ci si è resi conto che neanche una terra promessa basta a soddisfare il desiderio di infinito dell'uomo, e allora via, si riprende a viaggiare. Senza meta.
Decine se non centinaia di canzoni rock hanno cantato questo disagio on the road. Due su tutte, Running on Empty di Jackson Browne ("Non so dove sto correndo, sto solo correndo, correndo sul nulla, correndo alla cieca, verso il sole, sto correndo all'indietro") e Racing in the Streets di Bruce Springsteen.
Quest'ultima in particolare si ispira a un bellissimo - quanto tristissimo - film semisconosciuto, quello che dà il titolo a questo post, in italiano Strada a due corsie.
Uscito nel 1971, poco dopo il road movie per eccellenza Easy Rider, di quel film ne rovesciava la logica tutta "quanto è bello vivere on the road con il vento nei capelli" (sempre che non ti imbattevi in due rednecks dal fucile facile come successo ai due protagonisti del film, peraltro...). Two lane blacktop raccontava di chi si muove solo per riempire il proprio male di vivere, la strada come vuoto esistenziale.
Impersonato da due improbabili corridori di corse clandestine, non a caso due musicisti rock, James Taylor e Dennis Wilson dei Beach Boys, di pochissime parole, ma efficaci a rappresentare due ex hippie a cui delle utopie non era rimasto nulla, più simili a due esponenti della X Generation di vent'anni dopo con il loro cupo nichilismo, si svolge sulle strade secondarie d'America, tra paesaggi squallidi, ragazzine che si passano di mano come fossero bottiglie di coca-cola (e tanti saluti ai nuovi rapporti uomo-donna inaugurati dalla rivoluzione sessuale di quegli anni), sfide impossibili con altri come loro.
Il film finisce squallidamente come squallida è l'esistenza dei protagonisti. Restano le parole di Bruce Springsteen, scritte anni dopo, a commento:
I met her on the strip three years ago
In a Camaro with this dude from L.A.
I blew that Camaro off my back and drove that little girl away
But now there's wrinkles around my baby's eyes
And she cries herself to sleep at night
When I come home the house is dark
She sighs "Baby did you make it all right"
She sits on the porch of her daddy's house
But all her pretty dreams are torn
She stares off alone into the night
With the eyes of one who hates for just being born
For all the shut down strangers and hot rod angels
Rumbling through this promised land
Tonight my baby and me we're gonna ride to the sea
And wash these sins off our hands
Tonight tonight the highway's bright
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11 comments:
lapsus fruediano: easy RIDER!
Luca Skywalker
Da www.guzzienduro.it:
"Quanto manca ancora?
Ma come quanto manca !?!?!?!
Il divertimento sta nel viaggio,
in questo preciso momento
e in quello successivo,
e così fino a sera, e tu pensi
quanti chilometri devi ancora
fare o a che ora prevedi di arrivare....."
thanx luke.. i'm too old for rock'n'roll..
fausto... sei un biker??? :-)
devo troppo vederlo!
Capita a proposito questo post, che ieri ho finito di leggere i Vagabondi del Dharma. E anzi, per dirla tutta questo post fa a cazzotti con il precedente, perchè mette a confronto due modi di vivere all'apparenza inconciliabili. Sarei curioso di vedere la faccia delle nuove generazioni annoiate dalla tecnologia nel sapere che c'è stato qualcuno che ha fatto della strada una filosofia di vita. Probabilmente direbbero con sufficienza che queste persone appartengono ad un epoca preistorica. Forse. Ma che palle 'sti ragazzi la cui attività più importante è scambiarsi la suoneria col bluetooth. Pensa, mi dicono che sono "strano" perchè durante l'orario di lavoro tengo il telefono spento e se lo accendo ha la vibrazione ... strano??
Se Kerouac fosse vivo oggi magari scriverebbe di lucchetti sul Ponte Milvio .. bah ...
no, non sono un biker (anche se mi piacerebbe...) ma è un sito dove "viaggia" un mio collega di lavoro!!!
Lord, I was born a ramblin man!!!
grazie paul, farò tesoro del tuo post...
Appena ti restituisco il libro di Greil Marcus - traduzione stupenda - potrai vedere che ho sottolineato (sacrilegio!!!) una citazione bellissima, che c'entra molto: parla di come essere americano significhi "saper immaginare un destino piuttosto che ereditarlo".
E' un popolo in movimento per definizione, alla ricerca costante.
E questa è una grande forza, anche se a volte l'obiettivo è sfocato.
Almeno cercano, desiderano!!
Mi insegnano molto
Grazie, ciao
spino: un film che non hai visto? non ci posso credere...
gatto: commenti validi.. i vagabondi del dharma però ha un contenuto più positivo di On the road, adoro quel libro, in futuro ci scrivo qualcosa grazie per avermelo ricordato
grillo: come disse bob dylan, "touring is in my blood"
io forse appartengo (ma ancora per poco vista l'anagrafica) a qualcuna delle "nuove generazioni". Non amo ne i lucchetti, ne scambiarmi le cose con il bluetooth (che neanche ce l'ho e non so di preciso a cosa serve) e soprattutto non amo le generalizzazioni da una generazione verso l'altra. Forse non siamo in tanti, ma mi piace pensare che gli "individui" esistono ancora.
Gran bel film... suppongo!
Tocca solo supporre, dato che è uno dei tanti praticamente invisibili da decenni.
Lo suppongo anche perché Hellman prima aveva diretto due film assolutamente splendidi come "Le colline blu" e "La sparatoria".
Però contesto il raffronto in negativo con "Easy Rider", a mio parare film incompreso come pochi. Il "quanto è bello vivere on the road con il vento nei capelli" c'è, ma è anche un film impregnato dall'inizio alla fine di simboli di morte e disfacimento (coerentemente con tutto il cinema di Hopper). Se lo si guarda senza tener conto dei luoghi comuni che si sono stratificati con gli anni ci si accorge ad esempio che i due protagonisti non sono neanche due veri hippies ma due spacciatori che hanno fatto la grana e se la vogliono spassare andando a puttane a New Orleans. Ne più, ne meno. Nell'edizione in DVD il regista lo dice chiaramente: è la storia di due spiriti liberi che hanno tradito se stessi per un po' di soldi, il finale è di conseguenza.
Occorre revisione!
Tom.
PS non commento i soliti eterni luoghi comuni sui gggiovani.. tanto tra vent'anni i giovani di oggi si rifaranno sui i gggiovani di turno (che senza dubbio ascolteranno musica di merda... "altro che quella che ascoltavamo noi agli inizi del secolo! Aaaah, non ci sono più gruppi come i Tokio Hotel!").
è vero quello che dici di easy rider, tom; in effetti è un film che non ha alcun messaggio positivo, c'è una cupa disperazione di fondo, ma per 40 anni è stato spacciato come il manifesto della vita libera e felice
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